Strategie di Mercato
“Dunque, fammi capire bene” mi dice Adriano afferrando una manciata di noccioline.
“Hai pestato un disgraziato e poi sei tornato a casa e hai chiamato Maria”.
“Aha” rispondo.
Siamo a un bar al Vomero che tiene una specie di giardinetto che ti illude di non essere al centro del traffico di piazza degli artisti. La cameriera che serve ai tavoli è magra, bruna, e Adriano la fissa in una maniera sconcertante.
“Non riesco a capire se sei più stronzo perché hai pestato il tipo o perché hai chiamato la tua ex”.
“Non credevo di essere capace di picchiare un uomo” gli rispondo, mentre fisso il mio bicchiere: un pessimo Gin Tonic.
“Se è per questo nemmeno io ti facevo capace”.
Non so se offendermi o prenderla a ridere. Forse neppure si è accorto che sono molto scosso.
“Guarda che non sto bene per questa cosa” gli faccio. Meglio essere chiari.
Lui se ne sta zitto per un po’ e fissa con pigrizia la cameriera che sorride a un cliente del tavolo accanto mentre gli serve uno sfigatissimo frappè.
All'improvviso mi sento molto solo. Provo una certa empatia per quell'uomo completamente privo di compagnia che si prende un frappè seduto a un tavolino del bar.Mi chiedo se sia un vecchio rituale che fa quando sta con la sua donna o con sua figlia, e in sua assenza ripete l'ordinazione per sentire meno la sua mancanza. Un frappè non è una di quelle cose che ordineresti, da adulto, in solitaria.
“E Carmela?” Mi chiede poi Adriano, strappandomi dalle mie sciocchezze.
“Mi ha scritto una specie di messaggio su FaceBook questa mattina”.
“E che dice?”
“Bah, roba che manco i Teletubbies”
“Ti ha detto ciao?”
“In pratica sì. Dice che non può sopportare la mia indole violenta e che sono una specie di fascista.”
“Ma tu non hai un’indole violenta!”
“E tu che ne sai?”
“Cristo, Al” mi dice, con in bocca delle pessime arachidi sereticce che mi sputa in un’area pericolosamente vicina alla mia faccia “Ti conosco da abbastanza da saperlo!”
“E se stessi cambiando?”
Adriano scuote il capo, inghiotte avidamente un sorso di Negroni.
“Cioè, io non mi sarei fermato. Lo avrei ammazzato di botte.” Aggiungo.
“Calmati e non dire stronzate.” Mi fa lui “Alla fine non l’hai fatto fuori. Hai reagito male, semplicemente. Ne hai parlato con la dottoressa?”
“Non ancora”.
“Beh, fallo. È comunque una di quelle cose che vanno chiarite, no?”
“Hai ragione.”
“Hai una penna?” mi chiede, poi, afferrando un paio di fazzolettini di finta carta che non servono mai a un cazzo.
“Ho una matita” rispondo “perché?”
“Perché cazzo vai in giro con una matita?” Mi fa lui.
“E perché non dovrei?”
“Sei uno scrittore, Al! Gli scrittori portano le penne, non le matite!”
Sbuffo. Afferro la matita che tenevo in tasca e gliela porgo. È una matita di Ikea con il culo tutto smangiucchiato.
“Ma te la porti dietro per mangiarla?” Mi chiede disgustato. "È pure umidiccia..."
“No, è che a volte mi fa male il collo e la tengo tra i denti per…”
“Ho capito, non voglio saperlo.”
Poi Adriano si mette a scrivere qualcosa sul fazzolettino di carta, con un po’ di difficoltà perché la matita non è particolarmente adatta.
“Che stai facendo?”
“Ci salvo la vita, amico mio.”
“È il mio numero di telefono quello?”
“Certo”
“Perché?”
“Vedi, Al” mi dice “In passato, quando volevi farti una tipa, le chiedevi con insistenza il numero di telefono. Quella si sentiva aggredita nella sua intimità e ti dava il numero sbagliato. Così finiva che prendevi pure questioni con qualche vecchia di merda che non capiva che avevi sbagliato numero e ti prendeva per uno che voleva fotterle”.
“E quindi?”
“Quindi, al giorno d’oggi conviene che sia tu a dare il tuo numero di telefono perché la donna, che non si sente aggredita nella sua intimità, abbia la libertà di scegliere se chiamarti o meno e quando stracazzo le pare a lei.”
“E perché le stai dando il mio numero?”
“Perché nella nostra società consumistica la strategia migliore è immettere sul mercato una maggiore offerta. Se do il mio numero E il tuo numero, la ragazza si sentirà invogliata a scegliere, e la possibilità che chiami almeno uno di noi due aumenta.”
“Questa cosa non ha un filo di senso.”
“Dunque, fammi capire bene” mi dice Adriano afferrando una manciata di noccioline.
“Hai pestato un disgraziato e poi sei tornato a casa e hai chiamato Maria”.
“Aha” rispondo.
Siamo a un bar al Vomero che tiene una specie di giardinetto che ti illude di non essere al centro del traffico di piazza degli artisti. La cameriera che serve ai tavoli è magra, bruna, e Adriano la fissa in una maniera sconcertante.
“Non riesco a capire se sei più stronzo perché hai pestato il tipo o perché hai chiamato la tua ex”.
“Non credevo di essere capace di picchiare un uomo” gli rispondo, mentre fisso il mio bicchiere: un pessimo Gin Tonic.
“Se è per questo nemmeno io ti facevo capace”.
Non so se offendermi o prenderla a ridere. Forse neppure si è accorto che sono molto scosso.
“Guarda che non sto bene per questa cosa” gli faccio. Meglio essere chiari.
Lui se ne sta zitto per un po’ e fissa con pigrizia la cameriera che sorride a un cliente del tavolo accanto mentre gli serve uno sfigatissimo frappè.
All'improvviso mi sento molto solo. Provo una certa empatia per quell'uomo completamente privo di compagnia che si prende un frappè seduto a un tavolino del bar.Mi chiedo se sia un vecchio rituale che fa quando sta con la sua donna o con sua figlia, e in sua assenza ripete l'ordinazione per sentire meno la sua mancanza. Un frappè non è una di quelle cose che ordineresti, da adulto, in solitaria.
“E Carmela?” Mi chiede poi Adriano, strappandomi dalle mie sciocchezze.
“Mi ha scritto una specie di messaggio su FaceBook questa mattina”.
“E che dice?”
“Bah, roba che manco i Teletubbies”
“Ti ha detto ciao?”
“In pratica sì. Dice che non può sopportare la mia indole violenta e che sono una specie di fascista.”
“Ma tu non hai un’indole violenta!”
“E tu che ne sai?”
“Cristo, Al” mi dice, con in bocca delle pessime arachidi sereticce che mi sputa in un’area pericolosamente vicina alla mia faccia “Ti conosco da abbastanza da saperlo!”
“E se stessi cambiando?”
Adriano scuote il capo, inghiotte avidamente un sorso di Negroni.
“Cioè, io non mi sarei fermato. Lo avrei ammazzato di botte.” Aggiungo.
“Calmati e non dire stronzate.” Mi fa lui “Alla fine non l’hai fatto fuori. Hai reagito male, semplicemente. Ne hai parlato con la dottoressa?”
“Non ancora”.
“Beh, fallo. È comunque una di quelle cose che vanno chiarite, no?”
“Hai ragione.”
“Hai una penna?” mi chiede, poi, afferrando un paio di fazzolettini di finta carta che non servono mai a un cazzo.
“Ho una matita” rispondo “perché?”
“Perché cazzo vai in giro con una matita?” Mi fa lui.
“E perché non dovrei?”
“Sei uno scrittore, Al! Gli scrittori portano le penne, non le matite!”
Sbuffo. Afferro la matita che tenevo in tasca e gliela porgo. È una matita di Ikea con il culo tutto smangiucchiato.
“Ma te la porti dietro per mangiarla?” Mi chiede disgustato. "È pure umidiccia..."
“No, è che a volte mi fa male il collo e la tengo tra i denti per…”
“Ho capito, non voglio saperlo.”
Poi Adriano si mette a scrivere qualcosa sul fazzolettino di carta, con un po’ di difficoltà perché la matita non è particolarmente adatta.
“Che stai facendo?”
“Ci salvo la vita, amico mio.”
“È il mio numero di telefono quello?”
“Certo”
“Perché?”
“Vedi, Al” mi dice “In passato, quando volevi farti una tipa, le chiedevi con insistenza il numero di telefono. Quella si sentiva aggredita nella sua intimità e ti dava il numero sbagliato. Così finiva che prendevi pure questioni con qualche vecchia di merda che non capiva che avevi sbagliato numero e ti prendeva per uno che voleva fotterle”.
“E quindi?”
“Quindi, al giorno d’oggi conviene che sia tu a dare il tuo numero di telefono perché la donna, che non si sente aggredita nella sua intimità, abbia la libertà di scegliere se chiamarti o meno e quando stracazzo le pare a lei.”
“E perché le stai dando il mio numero?”
“Perché nella nostra società consumistica la strategia migliore è immettere sul mercato una maggiore offerta. Se do il mio numero E il tuo numero, la ragazza si sentirà invogliata a scegliere, e la possibilità che chiami almeno uno di noi due aumenta.”
“Questa cosa non ha un filo di senso.”
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