sabato 20 febbraio 2016

The Hateful Eight - Impressioni a caldo

Quando si parla di Tarantino bisogna starsi molto attenti, prima di tutto perché chiunque tu sia, rispetto a Tarantino non sei nessuno. E poi perché è un genio universalmente riconosciuto che ha schiere di fans sfegatati disposti anche ad usare la violenza contro chiunque possa permettersi di non farsi piacere qualcosa che lui abbia fatto, compreso lo scaccolarsi al volante.
Per questo motivo vi parlo delle mie impressioni sull'ultimo film specificando che adoro Tarantino, trovo che sia un genio, e queste sono solo le prime impressioni di una tipa a caso che, lungi dal salire in cattedra, vuole cercare di fare chiarezza su delle sensazioni contrastanti percepite durante la visione di questo film.



Mi sto affacciando da poco nel meraviglioso mondo della regia (in maniera molto teorica) e non sono affatto padrona dell'argomento. Ciò che io riesco a giudicare con maggiore onestà culturale e con un po' più di padronanza della materia, è l'andamento di una storia. Per questo motivo, non potendo giudicare il film  nel dettaglio dell'architettura registica, darò un'opinione personalissima sulla sceneggiatura, sulla storia, e sul film in generale.

Il Plaza ha riservato a questo film una piccola sala, vecchia, brutta, che puzza come il vecchio salotto di una nonna decrepita (quell'insistente odore di pop corn sereticcio e moquette umida). Non ci posso fare niente: mi è parso quasi il modo migliore per assistere a questo film, come fosse un'esperienza da avanguardia underground anni '70.
C'è qualcosa di incredibilmente bello negli occhi della gente che ha appena finito di vedere un film.
Così quando vado al cinema mi giro verso la platea e guardo la gente che si alza e non sa ancora decidersi se commentare ad alta voce o no quello che hanno appena visto.
Alcuni hanno la faccia di quelli che sono convinti di avere una sorta di parentela mistica con il regista. Per esempio una ragazza, ieri sera, mentre usciva dalla sala ha detto "Mi sono preoccupata, all'inizio c'era troppo poco sangue, non sembrava Quentin". Fortuna che lei non è stata delusa.
Io invece un po' sì, e non certo per colpa del sangue, quanto piuttosto a causa di un andamento lento e tedioso, un manieristico soffermarsi su dialoghi inutili, improbabili, di solito piacevoli in Tarantino, ma che questa volta mancavano di quel "qualcosa" che, prendendo in prestito un modo di dire che si usa nella storia dell'arte, definirei "la pennellata del maestro".

Ottimi presupposti
Le musiche da dramma psicologico ti introducono in un'atmosfera lontana dall'assolato western che la storia del cinema ci ha abituato a conoscere. Qui siamo sotto la neve, e la bufera di neve ha la stessa funzione che avevano gli indiani nel magnifico Ombre Rosse: costringere delle persone completamente diverse e portatrici di forti conflitti, a stare insieme in uno spazio piccolo, per necessità di sopravvivenza. BOOM, mi sono detta. Questo film ha dei presupposti meravigliosi, e sembra voler dialogare direttamente con la storia del cinema, una specie di esercizio base dello storytelling. La situazione si complica ancora di più nel momento in cui la diligenza è costretta a fermarsi lungo la strada, sempre a causa della bufera di neve. Qui alla situazione già tesa della diligenza, si aggiungono nuove difficoltà con la messa in campo di nuovi personaggi, portatori di nuovi conflitti.
Tutto il film è giocato sull'isolamento di questi personaggi e sulla loro necessità di trovarsi al sicuro da una natura maledettamente ostile. Ognuno di questi personaggi ha un segreto e una missione, alcuni di loro mentono spudoratamente sulla loro identità, e soprattutto ognuno di loro porta con sé un'umanità deprecabile che vive di preconcetti politici, razziali, di genere, sullo sfondo di un periodo storico descritto con pochi accenni (devo dire ottimamente studiati), che ti fanno capire quanto sia stata terribile e traumatica la formazione, dopo la fratricida guerra di secessione, degli Stati Uniti d'America così come li conosciamo noi oggi.
Dal momento in cui tutta la storia si basa sui personaggi e sui loro segreti e che tutto si svolge in pochissime location "costrette", buona parte dell'avanzamento del dramma deve essere necessariamente portato avanti dal dialogo. Ed il problema, a mio avviso, stava proprio lì, nel dialogo.

Perché qualcosa non andava?
Io non so precisamente spiegare cosa non mi abbia convinto di questo film. Ci sono delle situazioni assurde perfettamente in linea con lo stile del regista, che gioca volentieri portando il più possibile al limite la cosiddetta sospensione dell'incredulità, eppure l'andamento generale del film, lento, il soffermarsi un po' troppo su scene insignificanti e soprattutto la mancanza di freschezza dei dialoghi mi ha fatto storcere il naso più di una volta. Era, a orecchio, come se ci fossero degli intoppi, come se qualcosa non funzionasse, se il meccanismo non fosse stato ben oliato, e la trama sembrava non voler andare avanti.
Non sono proprio sicura che questo possa dipendere dalla traduzione in italiano (cosa che però è da mettere nel conto). C'era qualcosa nella tempistica delle scene, che secondo me andava rivista.
Ho avuto la sensazione che le lunghe sequenze di nulla, sia mute (quando rimanda lo stacco per la scena successiva) sia dialogate, fossero dovute alla volontà del regista di "allungare il brodo", non credo per il semplice motivo di volerlo rendere lungo, quanto piuttosto per cercare di innervosire lo spettatore, di infastidirlo per fargli salire la freva, per aumentare il suo stato di tensione angosciante e quell'atmosfera da "e mo secondo me qualcuno spara e fanculo".
Io non credo che un maestro come Tarantino abbia involontariamente toppato. Io credo che abbia toppato volontariamente, nel senso che quella che per noi sembra essere una mancanza che ci innervosisce, in realtà è stata studiata proprio per quella finalità.

Con questo film, a mio avviso, ci troviamo in linea con la genialità di Django, nello sperimentare una forte commistione di generi: nel primo ci aveva promesso un western, ci ha rifilato un film sull'emancipazione degli afroamericani; in questo The Hateful Eight ci aveva promesso un altro western, ci ha rifilato un giallo alla Dieci Piccoli Indiani.

Altra cosa che mi ha un po' lasciata perplessa è questo modo di farcire il tacchino con citazioni cinematografiche di grande spessore, non solo traendo spunto dai maestri del cinema a lui precedenti, ma anche utilizzando citazioni tratte da sé stesso. Certo, lo ha sempre fatto, e lo ha sempre fatto anche in maniera egregia, ma questa volta mi è parso un po' stanco.
Tutto sommato è un film molto tarantiniano, come se il regista fosse diventato manierista di sé stesso, con una situazione da Iene, nell'ambientazione di Django, la divisione in capitoli di Kill Bill, ma privo della spettacolare freschezza dei dialoghi di Pulp Fiction.

È possibile che questo "qualcosa" che mi pare un po' forzato sia dovuto ai problemi che c'erano stati con la diffusione on line della sceneggiatura, all'insaputa dello stesso regista, che inizialmente aveva deciso di accappottare tutto. E infatti come si legge dalle sceneggiature, che si trovano on line ancora, si notano delle differenze proprio nei dialoghi. Possibile che un maestro come Tarantino abbia approssimato così tanto i dialoghi, buttati giù in fretta e furia, solo per poter dire di aver fatto un film diverso da quello che gli avevano "sgamato"?
Io ne dubito fortemente.
Leggendo su Wikipedia la parte in cui si parla dell'accoglienza della critica, penso di trovarmi d'accordo con due prese di posizione specifiche e allo stesso tempo contrastanti, che secondo me rispecchiano bene la situazione difficile in cui il regista ci ha voluti mettere:



1) Il critico del Daily Telegraph Robbie Collin scrive del film: "The Hateful Eight è un'epica tavola rotonda, la rappresentazione di un'intera nazione in una singola stanza, un film profondamente cinematografico, ma allo stesso tempo vivo, vibrante e realistico. Solo Tarantino poteva farlo, e c'è riuscito di nuovo."[39]

2) Contrariamente, Owen Gleiberman della BBC lo ha definito "il peggior film di Tarantino [...] privo di immaginazione e di mordente".[42] Donald Clarke dell'Irish Times, ha stroncato il film in maniera simile, definendo la sceneggiatura "carente", priva di personaggi memorabili, di coerenza narrativa e "così dannatamente noiosa."

Non sono d'accordo con il fatto che sia realistico, riportato dal critico della prima recensione. Di realistico non c'è niente.

Per quanto riguarda invece le nomination agli oscar: ci stanno tutte. Ma faccio il tifo per Mad Max, che a mio avviso mette le palle in testa a qualsiasi film sia in concorso per l'anno 2015.

mercoledì 10 febbraio 2016

Chameleon's Dish: il punto della situazione

Credo sia giunto il momento di capire dove sto andando a finire con questa storia di Chameleon's Dish, un po' come avevo fatto quando pubblicai QUESTO post.



Ricordiamo come era nato il blog e perché
L'idea principale da cui ero partita era una sorta di tentativo sperimentale di mettermi alla prova, cercando di obbligare me stessa a una scrittura forzata, una volta a settimana.
Ogni seduta di scrittura doveva durare circa mezz'ora e dovevo trarne un post possibilmente breve che riuscisse a portare avanti una trama che avevo pensato, ma che non avevo annotato da nessuna parte.
Era una cosa sperimentale fatta per necessità. E dico necessità perché attualmente sono in fase di scrittura di una serie di cose, tra cui sceneggiature per fumetti e cortometraggi, la tesi di laurea, un romanzo che vorrei pubblicare (prima o poi), e l'idea di portare avanti un blog che tirasse fuori da me una serie di situazioni e storie completamente libere mi piaceva, giusto per disintossicarmi.
Quando vuoi diventare uno buono, uno famoso, devi fare una serie di compromessi. Questi compromessi talvolta ti portano a dover lavorare su commissione, soprattutto per quanto riguarda la sceneggiatura. Per questo motivo sento spesso imbrigliata la mia creatività su binari che per scelta non vorrei percorrere. Si fa di necessità virtù, ovviamente, ma questo crea nella mia testa un affaticamento atroce e un forte dispendio di energie. L'idea di avere un mio piccolo spazio creativo mi aiutava a disintossicarmi da tutto questo.

Purtroppo tutto questo non ha funzionato.
Adesso devo arrendermi all'evidenza: scrivere una storia senza avere idea di come scriverla, non ti porta da nessuna parte.
Ho scoperto (anche se in effetti non è stata una scoperta quanto piuttosto la constatazione di un dato di fatto) che il modo migliore per scrivere è avere la testa libera da impegni e avere il tempo di buttare giù un soggetto dettagliato che ti faccia avere un canovaccio su tutto ciò che deve succedere ai vari personaggi. E soprattutto sarebbe comodo dover lavorare su una singola cosa alla volta, senza dover staccare il cervello da un fatto per buttarlo su un altro fatto ancora.

L'esperimento
La mia utopia era quella di riuscire a fare una sorta di sedute psicoterapeutiche davanti al computer, settimanalmente, buttando giù la trama come fosse un flusso di pensieri. Mi sono accorta che l'idea stessa di tirare fuori un post creativo che fosse aderente all'idea originale da cui ero partita, è praticamente impossibile, nonché stressante.
Quando si scrive un soggetto necessariamente metti dei punti fermi. Punti fermi che con la storia di Al esistono come trama, ma non come qualità di scrittura.
In pratica: non noto uniformità di stile tra un post e l'altro, e ciò probabilmente dipende dal fatto che ogni volta che scrivo un capitolo, passa veramente troppo tempo dal successivo. Questa non costanza rende la forma scritta disomogenea, ibrida.
Tutto questo può essere un punto di forza nel momento in cui premetto che questo blog è un esperimento creativo ed utilizzo una determinata metodologia di scrittura. In tal caso ciò che ne viene fuori è parte di un esperimento che dimostra quanto io sia influenzabile dalle condizioni ambientali che fanno sì che il mio stile di scrittura si trasformi da un giorno all'altro. Pare una paraculata, no?
Dall'altro lato questa disomogeneità è anche un punto debole: non ho ancora trovato uno stile che si possa sposare con questa sorta di noir che voglio scrivere.

Al come Amleto
Chameleon's Dish era nato dalla mia volontà di dare una reinterpretazione dell'Amleto, vista con gli occhi di un ventisettenne dei giorni nostri. Da qui è venuto fuori il nome Chameleon's Dish, che si riferisce a questo passo preciso dell'opera Shakespeariana:

ReBeh, come sta nostro nipote Amleto? 
AmletoIn maniera eccellente,
faccio la dieta del camaleonte;
mangio aria farcita di promesse,
nemmeno buona ad ingrassar capponi.

Che in originale suona così

Claudius           How fares our cousin Hamlet?

Hamlet              Excellent, i' faith, of the chameleon’s dish. I eat the air, promise-crammed. You cannot feed capons so.


Quello che è venuto fuori è la storia di un ragazzo di ventisette anni che non riesce a metabolizzare la perdita del padre, con cui non aveva un buon rapporto. Diviene ossessionato dal pensiero della morte che, da un certo momento in poi, si personifica con la bellissima Atropo.
Così come il fantasma del padre di Amleto perseguita il principe di Danimarca per far sì che sia vendicata la sua morte, così Atropo perseguita Al, mettendogli una pulce nell'orecchio: chi ha ucciso tuo padre?
Aggiungiamo a questo una serie di perdite di punti di riferimento, come la recente fine di un duraturo rapporto amoroso con la debole Maria.
Al è un ragazzo nella cui testa si confondono il pensiero ossessivo del sesso e il pensiero ossessivo della morte. Tutto questo lo porta ad accumulare una rabbia fortissima che viene fuori come pulsioni violente improvvise che prendono il controllo della sua testa.
Tutta la trama che avevo pensato si basava su una serie di simbologie che avevo desunto dall'Amleto di Shakespeare, rivissuti in una specie di Noir, dove Atropo rappresenta la femme fatale.
Allo stesso tempo, però, non volevo fare la copia spudorata di Amleto, altrimenti bastava fare una parafrasi. Io volevo creare qualcosa di mio, che nascesse dalla lettura del testo Shakespeariano che fin da ragazzina mi ha affascinata ed è entrato quasi sotto pelle, come archetipo del dramma interiore di una persona che improvvisamente si trova a dover fare i conti con la morte e la totale assenza di spiegazione del proprio ruolo nel mondo.

Il futuro
Siccome questo esperimento di scrittura non mi sembra sia particolarmente riuscito, ho dovuto fare una scaletta che farà sì che si chiudano tutte le linee di trama aperte e finisca, finalmente, questo romanzo.
Come avete notato, ultimamente scrivo soprattutto recensioni. Questo principalmente perché ho la testa intasata di roba da scrivere e tutte le mie energie creative si concretizzano nei lavori che necessitano di una scadenza a breve termine.
Ho provato a scrivere alcuni brani per proseguire la trama, ma non riesco a ritrovare quel tono cupo e paradossale che avevo utilizzato nei primi post della storia di Al. Quindi ho bisogno di un po' più di concentrazione per farlo, e dovrete aspettare un po'.
Una decina di capitoli ancora, credo, e tutto dovrebbe finire.
Quello che spero è che, una volta terminato il romanzo sul blog, io possa rimaneggiarlo con calma in modo da proporlo a un editore e, chissà, magari un giorno pubblicarlo cartaceo e ben rifinito.
O magari potrei tirarne fuori un fumetto!

[L'immagine l'ho presa da QUI]


giovedì 4 febbraio 2016

Mystery Society - Recensione

Oggi recensisco una lettura breve, intensa e che "sa di poco", scritta dallo sceneggiatore Steve Niles e disegnata dalla talentuosa Fiona Staples.
In Italia è edita dalla Bao.



Steve Niles
Scrittore e sceneggiatore (non solo di fumetti), è conosciuto soprattutto per la serie Horror "30 giorni al buio" (che non ho letto) collaborando con il disegnatore Ben Templesmith (con cui ha collaborato anche nella scrittura di altri comics, ma trovate tutto qui).
Da questo fumetto è stato anche tratto un film.

Fiona Staples
Canadese di nascita, mi sono innamorata di lei dopo aver letto Saga, fumetto la cui sceneggiatura è curata da Brian K. Vaughan (di cui magari tratterò tra qualche tempo).
Attualmente credo sia una delle disegnatrici che seguo con più attenzione, avendo un tratto estremamente caratteristico, affilato, e soprattutto per la sua bravura nel proporre personaggi credibili con una scioltezza e naturalezza tali da farteli sembrare vivi e animati.

Mystery Society
La scelta editoriale ha fatto sì che tutti i capitoli della miniserie, che in America è stata pubblicata in 5 volumi differenti (dalla IDW Publishing), fossero pubblicati in un singolo volume.
Questo gli fa onore, a dire il vero, perché in effetti la serie completa è piuttosto breve e questa scelta assicura una lettura unitaria dell'intero ciclo.
Ma questa unitarietà, a mio avviso, potrebbe anche essere un problema: leggendo il volume, in pratica, la separazione delle varie fasi della storia (che rappresentavano in fin dei conti la separazione in volumi distinti con rispettive copertine edite nella versione originale) non si nota particolarmente. All'inizio di ogni nuovo capitolo viene inserito in alto a destra l'"avviso" di aver iniziato a leggere il numero successivo.
Questa cosa da un lato sottolinea l'unitarietà della storia, che evita ad ogni ripresa sciocchi spiegoni, ma allo stesso tempo rischia di far perdere il senso dell'esperienza originale di lettura del fumetto, così come era stato messo in commercio inzialmente.
Io personalmente trovo che lo spezzare la storia in tutte e cinque le sue fasi, lasciando all'inizio di ogni nuovo capitolo la copertina originale, renda più facilmente fruibile la storia. Oltretutto le copertine originali, anch'esse di Fiona Staples, sono inserite a fine volume come contenuti speciali.
Sono piccolezze, comunque.
Nei contenuti speciali si sottolinea, con apprezzamento, che sono state messe anche una serie di illustrazioni inedite (bellissime) della stessa disegnatrice.

La Trama
Non esiste trama più semplice: marito e moglie titolari di una biblioteca che si occupa principalmente di occultismo, decidono di aprire una società volta a smascherare tutti i falsi miti della storia (o a riportarli alla luce). La storia della creazione della società, però, non è il punto di partenza della faccenda.
L'autore, che padroneggia abilmente tecniche di narrazione volte a non annoiare il lettore, parte da metà trama ed utilizza dei sapienti e divertenti flashback per spiegarci come è nata l'idea della società e per indagare il rapporto di amore tra i due giovani sposini.
Tutto il racconto è portato avanti con leggerezza, umorismo e con dialoghi azzeccatissimi, che stuzzicano e interessano il lettore, privi della solita ridondanza, con una bella raffinatezza di sceneggiatura e di regia delle varie vignette.
La trama è divisa in due, praticamente. Da un lato vediamo la "macro" portata avanti dai due sposini, Nick e Anastasia, e dalle inquietanti gemelle; dall'altro lato vediamo una sotto trama (ritrovare il teschio di Edgar Allan Poe!) portata avanti invece da una donna Ghoul e da un robot steampunk con il cervello di Verne.
Le due trame sono separate e a stento si incontrano. Questo mi fa pensare che siano nate separatamente, la seconda probabilmente volta alla presentazione di due personaggi che si sarebbero dovuti sviluppare in un'eventuale sviluppo della serie.
Il senso generale che riesco a estrapolare da questa miniserie da cinque numeri, è che l'autore forse sperava di fare un pilot per una serie più lunga. Cosa che, ahimè, non è successa e ancora non è stato annunciato un seguito (e non so se lo farà mai).
Peccato, perché, anche da quello che vedo dalle altre recensioni, si tratta di una serie molto apprezzata dal pubblico.

I Personaggi
Tutti i protagonisti della storia sono molto ben caratterizzati (tranne uno) e ognuno di loro ha una propria "voce" specifica, perfettamente riconoscibile, elemento, questo, che denota genericamente i bravi sceneggiatori di fumetti, e soprattutto i bravi dialoghisti.
Ma vediamoli da vicino:

Nick Hammond
(Nick Mystery)
Per quanto si voglia cercare di affermare che i veri protagonisti della storia siano i due sposini, temo di non essere d'accordo su questo punto.
Nick è in assoluto il personaggio principale di questi cinque numeri.
Carismatico, belloccio, assolutamente insopportabile nel suo riuscire in ogni modo ad essere simpatico a tutti (roba che proprio te lo fanno pesare), in tutti gli episodi i numeri hai la sensazione che sia lui a tenere le fila della società. Per buona parte del tempo seguiamo le vicissitudini che vive in prima persona, supportato a distanza dalla sua bellissima ed energica moglie.

Anastasia Collins
Una donna molto bella e molto sicura di sé. Così come il marito, sa anche menare mazzate e riesce a cavarsela in situazioni di pericolo mantenendo i nervi saldi.
La sua caratterizzazione è in qualche modo anche graficamente speculare a quella del marito. Entrambi sono diversi, graficamente (uno biondo, l'altra bruna, uno pallido, l'altra olivastra), ma sono abbastanza simili nel carattere. Avrei preferito che Anastasia avesse qualcosa che la rendesse più indipendente, caratterialmente, dal marito che invece fa il buono e il cattivo tempo in tutta la storia e buona parte delle idee messe in pratica per uscire fuori dai problemi sono unicamente sue.


Altri personaggi












Non ho intenzione di dilungarmi troppo sugli altri, anche perché correrei il rischio di rovinarvi il divertimento di conoscerli leggendo il fumetto.
Paradossalmente le bambine, il ghoul e il robot sono forse molto meglio caratterizzati di Anastasia, della quale il modo di parlare, "la voce" è perfettamente riconoscibile, come intercalare, ma il suo peso nella trama è appena tangibile, quasi fosse un'estensione di Nick.
Le bambine e il Robot sono, a mio avviso, il punto forte.

Disegni
Si parta dal presupposto che sono innamorata di Fiona Staples, e per questo motivo il mio punto di vista non è oggettivo.
Mystery Society è stampato, in originale, nel 2010. Saga invece è del 2012. In questi due anni la Staples ha avuto modo di affinare maggiormente la sua bravura nel disegno e come colorista, ma già da Mystery Society, nonostante si veda qualche cosa ancora un po' grezza, si intuisce che si tratta di una disegnatrice di eccezionale talento e dal tratto caratteristico.

Conclusione
La trama semplice e i dialoghi ben scritti e divertenti rendono questi cinque numeri estremamente leggibili e gradevoli.
In apparenza i personaggi sono ben caratterizzati, ma ad un'analisi più attenta si scoprono un po' trasparenti.
In particolare avrei preferito una maggiore attenzione in fase di scrittura ad Anastasia.
C'è da dire che la semplicità della trama è dovuta soprattutto al fatto che i nostri protagonisti non incontrano delle effettive difficoltà sul loro cammino, tant'è che alla fine hai la sensazione che i nostri eroi  siano veramente troppo bravi e che ce l'abbiano troppo più grosso di tutti, mentre i "cattivi" sono ininfluenti e stupidi.
Gli antagonisti che vediamo messi in gioco, infatti, sono o degli imbecilli o dei personaggi totalmente irrilevanti, poco tridimensionali.
Anche per questo motivo si ha la sensazione che i cinque numeri siano una specie di pilot per una serie più lunga e il fumetto si chiude lasciandoti addosso la curiosità di rivedere la squadra appena formatasi, lottare per risolvere una situazione ben più complicata.

A chi lo consiglio
Ai lettori che amano passare il tempo con storie semplici, divertenti, ben scritte. Agli amanti dei disegni spettacolari della Staples.

A chi non lo consiglio
Alle persone aride che cercano trame complesse e ricche di imprevedibili colpi di scena. A chi cerca dei cattivi seri e tenebrosi in cui immedesimarsi.