martedì 19 gennaio 2016

Chameleon's Dish - Capitolo XVII

Rosencrantz e Guildenstern (parte seconda)



[Questo post è il continuo di QUESTO]


Ho dimenticato l’accendino nella giacca. Qui fuori al pub fa freddo, mi aiuterà a sbollire.
Il pacchetto di sigarette è quasi finito. Sento odore di fumo e questo non fa altro che aumentare in me la voglia accendermene una.
Cerco con lo sguardo attorno a me se c’è qualcuno con un accendino in mano. Trovo solo Atropo, che incurante del freddo sta sempre nel suo vestito nero, sbracciata, senza pelle d’oca. Occhi verdi trapassano la veletta nera e si piantano direttamente nel mio cervello.
Non ti sto giudicando” mi dice.
“Hai da accendere?” le chiedo.
Certo che no” fa, e si accende la sua sigaretta fissandomi.
“Ma l’hai appena…”
Lo so” Continua a guardarmi. Sento freddo.
“Che cazzo ti ha preso?” la voce di Adriano mi raggiunge la schiena come un pugno. Mi ha seguito, ma lui ha la sua giacca, è stato più furbo di me.
“Ah, certo, il problema sono io” rispondo.
Adriano mi porge il suo accendino, è come se lo sapesse perfettamente che ho dimenticato il mio. Atropo è ancora accanto a me che mi guarda. Accendo la sigaretta tenendo lo sguardo basso, e lo distolgo ancora quando riporgo l’accendino al mio amico. Guardo la strada: sul marciapiede di fronte ci sono delle ragazze che ridono camminando con passo svelto, come stupide oche su tacchi starnazzanti.
“I ragazzi non hanno fatto nulla di diverso dal solito”
“L’ho notato”
“E quindi tu perché ti sei incazzato?”
“Perché non c’era niente di diverso dal solito.”
“Cosa volevi che facessero?”
“Mah, niente…”
“Il problema è nella tua testa” mi dice, serio.
“Non può essere sempre colpa mia, no?”
“Ti sei mai chiesto perché ti hanno lasciato solo?”
Ci penso. Lo so, stiamo per fare un discorso che non voglio fare. Atropo è accanto a me, la sento gelida che mi sfiora il braccio.
Avanti, rispondigli” mi dice. Credo mi stia prendendo per il culo.
“Sì” dico.
“E che risposta ti sei dato?”
Rispondi…?” chiede Atropo. La sento vicinissima al mio orecchio. Io cerco di raccogliere i pensieri sputando fuori dalle narici il fumo.
“Penso che…” dico “Penso che loro non abbiano la minima idea di quello che ho dovuto passare”
“E questo perché?” mi fa Adriano, che sembra incalzante, accusatorio.
“Perché non hanno mai perso nessuno, e alla gente non fotte mai un cazzo dei problemi degli altri fino a quando non sono loro a passare un guaio”
“Risposta sbagliata” mi dice. Atropo ride. Mi innervosisco e le lancio un’occhiataccia. Adriano è esattamente dalla parte opposta, alla mia sinistra.
“La verità è che tu non hai dato modo a nessuno di aiutarti”
“La verità è che nessuno si è chiesto se io avessi bisogno di aiuto.”
“Ci hai trattati tutti come la merda, quando tuo padre stava male. Non volevi parlarne, e non hai fatto altro che stare zitto. Poi hai smesso di chiamarci…”
“E tu sei stato l’unico che si è posto il problema del perché”
“Certo” risponde lui “Perché io ci sono passato e so cosa si prova, non avevo bisogno che tu me lo dicessi.”
“Ecco, appunto.”
“Ma gli altri non sono come me” dice Adriano “Se avevi bisogno di loro avresti dovuto chiedere aiuto”.
“Come no…”
“Sì, perché la gente non ha il potere di aprirti il cocco e leggerti nel cervello, hai capito?”
Tranne io” dice Atropo. La ignoro e mi giro verso Adriano. Perché continua a perdere tempo con me?
“Mio padre stava morendo. Pensi davvero che ci fosse bisogno di leggermi nel cervello per sapere che avevo bisogno di aiuto? Poteva capirlo chiunque”
“Avevano paura… tu sei una specie di nuvola di malumore che non fa altro che camminare in giro e sputare critiche a tutti, Al!”
Una descrizione calzante. Improvvisamente mi accorgo di essere così simile a tutto quello che non sarei mai voluto essere. Atropo incalza, e sento la sua voce che mi colpisce la nuca come se fosse un gavettone pieno d’acqua ghiacciata “è come guardarsi allo specchio, vero? Vedi tuo padre e vedi anche te stesso…
“Sta zitta…” dico a denti stretti.
“Fammi finire” dice Adriano. Non si è accorto che non parlavo con lui.
Povero piccolo Al…” continua Atropo. Stringo i pugni e butto a terra la sigaretta.
“Loro non hanno mai saputo come prenderti, non sapevano se volevi avere gente intorno, o se volevi stare solo. Non tutte le persone possono capire dalle tue mezze frasi e dai tuoi ostinati silenzi quello che c’è sotto.”
“Perché sono degli imbecilli” rispondo, con calma.
“Sì, lo sono” Adriano alza la voce “Lo sono, e tu non puoi farci niente, non li cambierai”
“Non vogliono farlo”
“Nemmeno tu vuoi cambiare”
“Perché dovrei?”
“Perché cambiare significa crescere, e tu non sei diverso da quei coglioni lì dentro.”
Touché…” dice Atropo.
“Nemmeno io sono diverso” dice Adriano “Siamo tutti figli di puttana che strisciano in questo mondo atroce e speriamo tutti di non farci troppo male con la vita”
Sono migliore di loro. Sono migliore di tutti quanti loro, anche di Adriano, io lo so perfettamente. Lo penso, ma non posso dirlo. Lo so che è una di quelle cose che nessuno vorrebbe sentirmi dire, o che non direi perché verrei preso per un coglione arrogante.
Tu sei un coglione arrogante” mi dice Atropo “e il tuo amico lo sa.”
“Io sono migliore di loro” dico.
Adriano si fa una risata. Ha reagito meglio di quello che credevo “Sei un gran coglione, Al, ed è per questo che mi piaci" Poi mi mette una mano sulla spalla  "come persona, ovviamente... non è che voglio passa' pe' ricchione. Però è esattamente questo che ti allontana dalle persone”
“Le persone non sopportano la gente migliore di loro perché la fa sentire sbagliata. In mia presenza si accorgono dei loro limiti”
"Seee, vabbè"
"No, è così. Pure con Maria è successo, e lo sai"
“Oppure sei tu che non ti accorgi dei tuoi limiti”
Mi sto innervosendo. Atropo ride ancora, mi stizzisce. Adriano spegne a terra la sua sigaretta.
“Torna dentro, fa freddo. Io poi non ti vengo a fare il brodino a casa, intesi?”
Se ne va.
Improvvisamente realizzo che quest'uscita, noi quattro, nessuno la voleva veramente. Forse solo Adriano ci ha creduto. Ho il sospetto che l'abbia organizzata lui, per fare qualcosa per me, senza accorgersi che alla fine non ha fatto altro che peggiorare il mio senso di non appartenenza a questo universo. Forse solo Michele è stato felice, in qualche modo, di rivedermi. Luca, a modo suo, cerca di reagire alla sua vita da fallito.
Il fatto è proprio questo: Michele e Luca si lasciano esistere, si fanno cadere le cose della vita addosso, senza senso, senza aspirazioni, senza pensare a chi sono o a chi vogliono diventare. Esistono, campano come pecore. E io li disprezzo infinitamente per questo. Però allo stesso tempo gli voglio bene, un bene dell'anima. Il fatto è che è deludente vedere le persone a cui vuoi bene che sprecano la loro esistenza, il loro potenziale, per niente.
"E non fai forse lo stesso, tu?"
Atropo è esattamente in mezzo alla strada, proprio lì dove passano le macchine. Mi guarda.
“Che fai?” le chiedo.
Ti aspetto…
“Scordatelo”
Atropo comincia a ridere e cammina lungo la carreggiata, elegante e sinuosa, un piede dopo l’altro, come se fosse in passerella. Tacco dopo tacco sento i suoi passi che battono come il mio cuore, sempre più veloce. Una Renault Scenic grigio metallizzata con un fanalino anteriore ammarrato corre lungo la strada. Con un tonfo incredibilmente rumoroso prende in pieno Atropo. Morbida nelle sue curve fa un volo, sbattendo sul parabrezza, sul tettuccio, fino a restare a terra come un burattino disarticolato.
La macchina corre via, come se sulla sua strada non ci fosse nulla, solo foglie secche.
Sono atterrito e mi sento il cuore che pulsa nelle orecchie. Corro a guardare Atropo. Attorno a me non c’è nessuno, nessuno affacciato a un balcone, nessuno che chiama aiuto.
Gli occhi aperti di Atropo fissano il vuoto come se fossero di vetro, inespressivi. Un rivolo di sangue scarlatto le esce dal naso. Mi inginocchio. Sento che il mio respiro riempie il silenzio. Le tocco una guancia. Cazzo, quel cappellino con la veletta non le è saltato via. Solo le ginocchia sembrano spezzate, solo quel rivolo di sangue la fa sembrare viva. Viva almeno un tempo.
Uno dei suoi occhi verdi mi guarda. Le sue labbra si distendono in un sorriso.
“Vaffanculo” le dico.
Mi alzo e me ne vado verso il pub.
Oh, dai, è stato divertente!”
“Fottiti!”
“Con chi parli?” Mi chiede Michele, che mi ritrovo davanti l’ingresso del pub.
“Niente, Miche', con lo stronzo che sono”
“Lol!”

Nessun commento:

Posta un commento