sabato 4 luglio 2015

Taccuino: autoanalisi.


Sono completamente bloccata, un po' a causa dell'esame che sto preparando, un po' a causa di altri fatti che non ho intenzione di rendere pubblici.
Non è un problema di blocco da pagina bianca, è un problema di concentrazione. E' come se tutte le mie energie siano state inghiottite in pensieri che mi portano sempre più lontano dalla trama di Al, per concentrarsi su qualcosa di estremamente più profondo.
Sto finendo dei percorsi, sto acquisendo consapevolezza, e questa cosa mi spiazza completamente.
Ieri ho parlato con Marco di una cosa che tendo a fare. Io analizzo tutto quello che mi circonda, e analizzo tutto quello che faccio. E' come se cercassi di riferire i miei pensieri, azioni, situazioni, a cose "altre", più lontane. Interpreto. Faccio l'analisi del testo a tutto.
Questa cosa non solo mi crea problemi nei rapporti con gli altri, ma si riflette anche in quello che scrivo.
Tutto quello che scrivo ha più di un livello di lettura. Ogni cosa rappresenta qualcos'altro, ha dei riferimenti letterari, ha dei riferimenti psicologici. Al è solo la punta dell'Iceberg, Al è nato come un personaggio estremamente "simbolista" (sebbene non di quel simbolismo che è una corrente culturale, ma un simbolismo più profano).
Io faccio questi riferimenti con coscienza, lo faccio perché sono abituata a tuffarmi in quello che studio, in quello che leggo, ascolto, guardo, e mi faccio un'idea che comincia a fermentarmi dentro fino a quando non trova una via di fuga nella scrittura. Sono sensazioni, stati d'animo, pensieri, emozioni, che non ce la fanno a restare troppo a lungo in silenzio e devono venire fuori.
Mi accorgo che solo scrivendo riesco ad avere pace, come se una volta fissate nero su bianco quelle cose restassero lì alla vista di tutti. Chiunque le può leggere, le può prendere, le può analizzare e fare sue. Per qualche tempo è come se, dopo aver scritto, avessi l'illusione di essermi sbarazzata di quelle cose, come se non facessero più parte di me, come se avessi completato la mia missione. Eppure è un'illusione, questa, perché non faccio altro che avere la sensazione di non aver dato abbastanza, di non aver descritto bene, sono insoddisfatta e atterrita.
Mi viene da pensare che queste cose che macerano dentro, se pure volessi descriverle a voce, non riuscirei a farlo.
Quello che mi ha messo in crisi è l'aver notato che tutti questi riferimenti che io faccio non vengono compresi. E se non vengono capite delle banali citazioni, dei banali riferimenti, per quale motivo la gente dovrebbe riuscire a capire le sensazioni più profonde che voglio trasmettere?
Io so che dentro i miei pensieri c'è una specie di potenza, di eternità, che resta bloccata solo dentro di me, che comprendo solo io, e questa mia incapacità di comunicare verso l'esterno mi fa stare male come se stessi metabolizzando un virus, come se avessi una febbre reumatica.
Sono imprigionata in uno stato di incomunicabilità. Le mie parole sono inadeguate.

Essendo un blog dove vorrei scrivere, ho pensato che il tentativo di descrivere i miei stati d'animo nei momenti in cui non riesco a concentrarmi su una storia precisa da portare avanti, possano aiutarmi in futuro ad analizzare (ma guarda un po') il mio processo creativo.
E' capitato anche in passato che io fossi preda di questa stessa identica sensazione di blocco, e per me potrebbe rappresentare una specie di quiete prima della tempesta.
Forse la mia creatività è come un'onda, e adesso sono nel momento in cui il mare si ritira nel prendere la rincorsa prima di andarsi a infrangere contro una scogliera. Sono nell'inspirazione. Nell'accumulare sensazioni. Verranno fuori in qualche modo, cazzo.

Prima di farequesto post ho cercato di curarmi scrivendo. E' venuta fuori una cosa della quale non sono completamente soddisfatta, ma la posto lo stesso, come se questo fosse un mio taccuino:

Prendi un pensiero fisso, che comincia a girarti in testa e comincia a fare una specie di turbine, un vortice, come quello che inghiotte Ulisse nella Divina Commedia. 
Il vortice è lì, e sono solo parole, una dietro l'altra, alcune confuse, alcune accentate. Ti trascinano verso un buco nero che tu sai che non vuoi raggiungere, perchè qualsiasi cosa ci sia lì dentro non sei sicuro di volerla capire.
Non ce la fai, provi ad aggrapparti a un pensiero che ti è sfrecciato sotto al naso, ma era troppo veloce e sei riuscito ad afferrarti solo a una virgola, che non è una sospensione lunga e quindi non può essere un'ancora sicura. Sguisci via, perché la virgola era un po' viscida come saliva, e continui a cadere giù, come Alice, senza tempo, senza voglia, e poi ti tuffi in quel buio, in quell'abisso e ne sei sopraffatto. Il tuo ultimo sguardo è verso l'alto, quella confusione di parole sembra starti dicendo qualcosa, pensieri, riferimenti, storie, indizi. La tua testa è troppo fottutamente umana per arrivare al nocciolo della questione e tutte quelle parole sai bene che non potranno mai essere usate per spiegare quel buio nel quale sei finito. Lo chiami abisso, lo chiami notte,  lo chiami come cazzo ti pare, ma non può essere nominato, non potrà mai essere capito da altri.
All'improvviso ti accorgi che tu SAI, che hai sentito dentro di te qualcosa che si muoveva, qualcosa di atavico, bestiale, e capisci che cos'è quell'abisso e sai che non potrai mai esprimerlo ad anima viva, perché le tue parole non bastano, perché le loro orecchie non sapranno ascoltare. 


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