lunedì 11 maggio 2015

Chameleon's Dish - Capitolo V

EMDR

"Ritorna con la mente all'immagine di tuo padre morto nel tuo letto"
"Okay"
"Che cosa provi?"
La dottoressa muove il dito a destra e a sinistra e io devo seguirlo con gli occhi.
Dicono che questa sia una terapia per quelli che soffrono di stress postraumatico. Forse pure io ne soffro, secondo questa dottoressa.
Sono sedute rilassanti, nelle quali le mie parole continuano a scivolarmi via da bocca senza che io possa fare niente per evitarlo.
Più penso all'immagine di mio padre morto nel mio letto, più cerco di scappare via e di anteporre a quell'immagine qualcosa di completamente diverso. Il mio cervello lavora senza che io me ne accorga.
"Non provo niente" rispondo, con la sensazione di stare mentendo.
In realtà non mi disturba il fatto che fosse nel mio letto. Mi disturba di più il fatto che mia madre non volesse farmelo vedere, senza accorgersi che ormai il danno era fatto, non era un corpo morto nelle mie lenzuola rosse a darmi fastidio.
"Ricordo che c'erano le lenzuola rosse" dico alla dottoressa.
"Rosse. Le ho fatte buttare subito dopo. Ho fatto buttare tutto. Il letto, il materasso, le lenzuola, la coperta che aveva addosso. Anche i mobili.
Perchè mi faceva tanta impressione?
Dicono che quando si muore si rilasciano i muscoli e si caccia via tutto quello che tieni in corpo. Con mio padre non c'era problema, perché gli avevano tagliato parte dell'intestino e doveva cacare in una borsetta che gli avevano attaccato sul fianco.
La pipì non so, non ho indagato.
E poi c'erano le gambe gonfie e piene d'acqua, che si erano piagate e cacciavano fuori del liquido. Non lo so se ha bagnato il letto in qualche modo, in realtà non ho mai voluto scoprirlo.
Forse erano le gambe gonfie che mi disturbavano di più.
Mi ricordo che mamma chiamò la signora delle pulizie perché dovevamo mettere tutto a posto, prima che venisse gente. Mi disse di coprire gli specchi. Forse la gente antica ha paura che gli specchi imprigionino l'anima dei morti.
Nel riflesso dello specchio vidi mio padre grigio in faccia, con un braccio dietro la testa, come se fosse in spiaggia. Si era addormentato così. E vidi pure la cameriera che gli dava un bacio in fronte e gli accarezzava la faccia. Poi misi un vecchio panno di lino davanti allo specchio e vidi solo fiori azzurri per un bel po', perché non ero sicuro di volermi girare di nuovo a guardare.
Lo feci, ovviamente. Mi dissi che non dovevo avere paura, quello non era più mio padre. Non era più niente."
"Stai muovendo le gambe"
"non me ne sono accorto."
"Le muovi perché vuoi scappare?"
"Forse... semplicemente mi rompo di stare fermo."
"Stai attento al linguaggio del corpo, se ti muovi c'è un motivo. Ti stai agitando?"
"No."
"Vuoi piangere?"
"No."
"Chi ti ha messo in testa l'idea che piangere è una cosa per deboli?"
"Non lo penso. Solo... non mi va di piangere" Mi infastidisce il fatto che la gente si aspetti che a un ricordo doloroso corrispondano sempre lacrime.
"Il giorno del funerale una zia mi chiese perché non piangevo." continuo.
"Cosa le hai risposto?"
"Sono un Robot, i Robot non piangono" mi metto a ridere come uno scemo, e mi accorgo che la mia faccia mi fa male, come se i muscoli cercassero in ogni modo di ricordarmi di restare serio.
"Ho fatto un sogno questa notte" aggiungo, mentre la dottoressa annota qualcosa su un blocchetto giallo con sopra disegnato a penna un fiore, e vicino il mio nome in stampatello, con la mia età e il mio problema principale.
"Ho sognato che stavo dal salumiere. C'era un bambino seduto che mangiava qualcosa che non doveva mangiare. Della cartapesta. Era un bambino quasi neonato, grasso come Buddha. Gli dicevo di smetterla di mangiare la cartapesta e lui mi guardava e rideva. Dico alla mamma, la salumiera, di fare qualcosa, perché il bambino non deve mangiare la cartapesta. Lei non fa niente. Alla fine mi arrendo al fatto che evidentemete è normale che mangi la cartapesta. E il bambino continua a ridermi in faccia. Poi più tardi, credo, nel sogno, il bambino mentre ride si blocca e diventa blu. Muore e a nessuno interessa. Io mi sento in colpa perché non mi sono imposto. Dovevo fargli smettere io di mangiare la cartapesta. Non dovevo aspettare che glielo dicesse la mamma."
"Che significato pensi che abbia questo sogno?"
"Credo che forse significa che non sono pronto ad avere dei figli".
La dottoressa si mette a ridere.
Ci fumiamo una sigaretta insieme, lei mi racconta che nemmeno sua figlia vuole piangere. Io penso che lei sia una brava mamma, e che sua figlia è una tosta.
Poi le metto sul banco un botto di soldi, le dico arrivederci e me ne vado.
Mi infilo in un vagone della metro e metto le cuffie per non sentire un tipo che urla che vuole mangiare. La musica mi dice che c'è una casa a New Orleans, che è stata la rovina di un sacco di giovani stronzi come me.
Mi arriva un messaggio dalla ragazzina con cui mi devo vedere stasera: Carmela.
Appuntamento alle 21.00 a piazza Vanvitelli.
Vicino casa della mia Bionda.

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