martedì 17 novembre 2015

In questo post parlo di Parigi a modo mio e non ho trovato un titolo adatto.



Oggi è martedì. Di solito il lunedì apro il blog e cerco di capire come pubblicare e cosa per crescere. Io voglio fare la scrittrice e ho creato questo blog per avere visibilità, per farmi notare per come scrivo. Quando ieri ho aperto questo blog mi sono detta: dopo quello che è successo venerdì che cazzo posso scrivere? Posso mai continuare a scrivere il mio romanzo facendo finta di niente? Posso scrivere la recensione di uno stupido fumetto?
Non me la sento.
Avevo la necessità di scrivere qualcosa su Parigi. Inizialmente pensavo di restare zitta e sospendere qualsiasi giudizio su quello che mi stava succedendo attorno. Ma poi non ce l'ho fatta. Dopo un fatto del genere credo di non poter far finta di niente. Sentivo la necessità di lasciare una traccia in questo blog. Prima di Parigi c'era un mondo, dopo Parigi ce n'è un altro. Devo registrare questo cambiamento in qualche modo, per mia personalissima necessità. Questi sono commenti a caldo da parte di una che sta vivendo questa cosa come ha vissuto la morte di un parente. Lo state facendo tutti, solo che magari non ve ne siete accorti.
Leggo sui social di gente che parla di terza guerra mondiale, di bombardamenti e subito sotto c'è un articolo del mattino che dice che a S. Gregorio Armeno sta arrivando il Natale.
È come trovarsi davanti lo scemo del villaggio che sotto i bombardamenti cerca di salvare la coperta che gli mettevano nella culla quando era piccolo.

Io non vi conosco e non so se avete mai perso qualcuno, se siete mai stati a un funerale.
Quando ti muore qualcuno due sono le cose: o ti da fastidio tutto quello che gli altri fanno per dimostrarti il proprio cordoglio, oppure apprezzi tutto, perché capisci che la gente davanti a dei traumi non sa bene come comportarsi, e fa semplicemente quello che può.
Quando è morta una persona a me cara un sacco di gente con la quale a stento mi salutavo, mi si è fiondata addosso ad abbracciarmi. Io odio gli abbracci e odio le persone. Loro erano convinti che io avessi bisogno di essere abbracciata, cosa per nulla vera (almeno non da loro). Non mi misi a fare questioni, nonostante tutto, perché pensai che semplicemente non mi conoscevano, non avevano idea di quali fossero i miei bisogni, e forse semplicemente erano loro ad aver bisogno di dimostrarmi il loro affetto in un modo plateale, goffo, tipico di chi è in perfetto imbarazzo.
La gestione delle proprie emozioni è un fatto complicato.
Io davanti alla morte reagisco più o meno sempre allo stesso modo: non parlo.
Mi hanno detto di quello che stava succedendo a Parigi con un messaggio privato su Facebook e in un primo istante non ci ho creduto.
Sono corsa a controllare e non ho avuto il coraggio di smettere di fare quello che stavo facendo (mangiare un panino con gli amici) perché continuavo a non capire che era una cosa vera.
Quella sera siamo stati in 3 locali. Di questi solo il primo aveva messo un notiziario, a bassissimo volume, e la gente rideva e scherzava come se il fatto non fosse il loro. Gli altri due locali non avevano messo nessun notiziario, non avevano cambiato musica, ma sapevano perfettamente cosa stava succedendo.
Mi sono detta: se il mondo non si è fermato per questo non sarà poi così grave.
Quando sono tornata a casa sentivo la stessa atmosfera grave di quando hai il morto in casa. Io e i miei non abbiamo chiuso occhio. E poi il giorno dopo si sono aperte le cataratte dei social, dei giornali, e le polemiche e tutto il resto.
Mi sono detta: stai zitta, Chiara. Chi cazzo sei tu per dire qualcosa?
La gente ha cominciato a comportarsi così come si comporta sempre quando succedono i lutti. Fanno piazzate, dicono la loro, esprimono giudizi non richiesti, fanno a gara con chi soffre di più.
E le polemiche. Un sacco di polemiche, che vi riassumerò brevemente così:

- Quelli che biasimano la gente che scrive qualcosa su Parigi, senza rendersi conto di stare facendo lo stesso.

- Quelli che biasimano quelli che biasimano la gente che scrive su Parigi, facendogli notare che stanno facendo lo stesso.

- Quelli che hanno deciso che il giorno dopo già ci si può scherzare sopra e fanno figure di merda.

- Quelli indignati perché nessuno pensa che nel mondo ci sono altri attentati e dicono "perché nessuno ne parla, eh? EH?".

- Quelli che mettono immagini della bandiera della Francia e della Tour Eiffelle e viene biasimata da gente che non lo fa.

- Quelli che vogliono fare la guerra a "ISIS" convinti che questo significa andare a bombardare un paese arabo a caso.

- Quelli che hanno deciso che basta che sei immigrato e automaticamente sei terrorista, anche se sei un russo ortodosso e aiuti le vecchiette ad attraversare la strada.

- Quelli che vogliono pregare per le vittime di Parigi.

- Quelli che biasimano la gente che prega per le vittime di Parigi dicendo che è tutta colpa delle religioni e quindi basta preghiere, non diciamo stronzate.

- Quelli che dicono che siccome siamo laici basterebbe sostituire alla parola "preghiera" la parola "pensiero" così siamo tutti più politically correct.

- Quelli che dicono che sono tutti coglioni quelli che pensano che quello che è successo sia un fatto di religione: è solo politica, fratello. Solo fottuta politica. Amen.

- Quelli che ne approfittano per avere visibilità facendo notare quanto sono rimasti traumatizzati da quello che sta succedendo sputanto hashtag a destra e a manca, giusto per dire "ci sono anche io, vi prego, notatemi".

Io sono una persona estremamente cinica, e come tale mal sopporto tutto questo. Ho cominciato ad avere nausea e una sensazione di insofferenza verso tutto ciò che passava in TV e sui social. Però a un certo punto mi sono fermata e ho detto: cazzo, mi sento proprio come quando mi è morta quella persona cara.
Quello che stiamo facendo tutti noi è metabolizzare un lutto. Quello che è successo a Parigi resta e resterà per sempre un fatto epocale. Quello che succederà da domani non sarà più uguale al domani che ci saremmo aspettati. Questa è una di quelle cose che ti condiziona l'esistenza. è cambiato tutto, è un dato di fatto. Siamo tutti scioccati da quello che è successo, anche quelli che fanno finta di non esserlo e mantengono la loro maschera di cinismo. Siamo tutti scioccati e condizionati.
Per cui mi sono detta: ma io chi sono per biasimare la gente che vuole mettere la bandiera della Francia come immagine profilo su un social? Io non lo farei mai, ma se quella persona sente il bisogno di farlo... beh, non sta ammazzando nessuno.
La gente sente il bisogno di pregare. Non so se ve ne siete accorti, ma esiste ancora chi crede in Dio, e queste persone vogliono pregare per quello che sta succedendo. Tra quelle vittime ci sarà stato almeno un credente che immagino avrebbe apprezzato una preghiera per la sua anima. E allora, se sentite il bisogno di pregare, pregate, cazzo! E la gente che non prega ha tutto il diritto di pensare "che coglioni, questi parlando ancora di religioni", ma non hanno il diritto di imporre la loro visione a tutti gli altri. Non c'è bisogno di essere politically correct sulle preghiere della gente dopo un fatto epocale di questa maniera.
E vi dico anche un'altra cosa: quando si studierà storia si ricorderanno tutti di quello che è successo a Parigi e dimenticheranno per buona parte quello che è successo in giro per il mondo con gli altri attentati e le altre morti, perché così funziona. Questo è un dato di fatto: il mondo fa schifo. Tutte le vittime sono vittime, hanno sofferto, sono morte, hanno la stessa dignità, ma quelle di Parigi hanno un significato particolare proprio perché sono morte a Parigi e in quel modo. Fa schifo, lo so, è una cosa cinica, lo so, ma è un dato di fatto.
Quando studiamo il Sacco di Roma sui libri di storia, lo studiamo come un fatto epocale. Ricorderemo sempre che il Sacco di Roma è avvenuto in un contesto di guerre per il predominio in Europa di una serie di fazioni, ma lo ricorderemo sempre e comunque come il culmine, come il fatto più significativo.
Quello che è successo a Parigi è come il sacco di Roma. Non sarà mai la stessa cosa per noi quello che succede in Siria, a Beirut o in Kenya. Parigi significa qualcosa, storicamente. è un simbolo. Parigi, la Francia in generale, hanno visto nascere il nostro pensiero moderno, la filosofia che ci ha portati ad essere quello che siamo, alle rivoluzioni per la nostra libertà, alla carta dei diritti, all'abolizione della schiavitù... tutto è in qualche modo collegato a Parigi. Colpire Parigi significa colpire il simbolo di quell'Occidente che siamo diventati oggi. Significa colpire la nostra storia e in qualche modo appropiarsene e trasformarla.
Per questo, dico, che ci comportiamo come se ci fosse morto un parente. Parigi è un parente caro. Siria, Beirut e Kenya sono conoscenti. Ci possiamo stare male, ma non sarà mai la stessa cosa. Se il giorno che vi ammazzano il padre ammazzano pure il collega di vostro padre, voi pensate al collega (che magari vi faceva anche i regali a Natale o vi cambiava il pannolino da bambini) o pensate a vostro padre?

Quello che sta succedendo con l'Isis è un lavoro sociologico, antropologico, psicologico. Quelli che guidano l'Isis sono persone abbastanza colte da sapere cosa fa male all'uomo medio Europeo e occidentale, perché ci conoscono. Fanno tutto quello che potrebbe fare un cattivo dei fumetti per dimostrare di essere veramente un super cattivo. È un'orchestrazione cinematografica eccellente, una costruzione pianificata portata avanti da gente che ha la freddezza criminale di chi sa esattamente quali tasti toccare per far scatenare una paura irrazionale nella gente.
Dicono che non bisogna avere paura per non dargliela vinta. Io ho una paura fottuta, cazzo, questo ha cambiato il mio universo. Ma questo non mi farà smettere di pensare quello che penso e non mi convincerà mai a gridare di uccidere la bestia, non mi convincerà mai, quello che è successo, che sia giusto cominciare una caccia alle streghe.
Noi abbiamo avuto la fortuna di essere nati in Europa. Non lo abbiamo scelto noi, di nascere qui. Non abbiamo scelto noi di nascere in questo mondo e in questo periodo storico. Non è colpa nostra. Ma possiamo scegliere di restare calmi, freddi; possiamo scegliere di aprire gli occhi e pensare che tutto questo è fatto apposta per creare preconcetto, odio, violenza, sconfitta. Ricordiamo sempre che di mezzo ci finiscono quelli che non c'entrano un cazzo e che non dobbiamo prendercela con il primo che passa, che sia un nostro contatto su un social che non ha capito niente, o che sia un musulmano che incontriamo per strada. Approfittiamo di quello che è successo per usare tutte le armi in nostro possesso per restare liberi nell'unico modo in cui si può essere liberi: intellettualmente. Apriamo libri di storia, vediamo approfondimenti. Documentiamoci per capire cosa sta succedendo per cercare di farci un'opinione personale, senza lasciarci condizionare dalla nostra paura e senza diventare dei complottisti del cazzo.
Nel mondo le guerre ci sono sempre state. C'è stata sempre violenza, dolore, morte, distruzione, carestie. Abbiamo più paura di tutto questo perché siamo ancora traumatizzati dalla seconda guerra mondiale. Abbiamo avuto la fortuna di non aver mai visto una guerra in faccia. La conosciamo per sentito dire (almeno quelli della mia generazione). Ma non siamo nati in un mondo in cui non possiamo fare altro che imbracciare il fucile e andare al fronte. Siamo nel mondo in cui l'informazione è a portata di mano. Sono tempi in cui la libertà intellettuale può esistere, ma dobbiamo costruircela noi, esercitando il nostro senso critico e non cedendo all'idea che soltanto tramite l'aggressione incondizionata del "diverso" possiamo mantenere la nostra personale sicurezza.

Ps: la foto che ho scelto di usare per questo post l'ho rubata a una mia amica che vive a Parigi, per la quale sono stata molto in pensiero fino a quando non ho ricevuto la conferma che stava bene.
Il post con il quale presentava la foto è questo, ed è con questo pensiero che voglio lasciarvi:




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